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mercoledì 16 marzo 2011

RICORSO DI ROMINA LICCIARDI VS CGIL DI RAGUSA


Come avevamo preannunciato iniziamo a pubblicare i nostri ricorsi vs la CGIL in modo che tutti possiate vedere con i vostri occhi e farvi un'idea di ciò che sta accadendo in Sicilia. Cominciamo col primo: Romina Licciardi licenziata dalla CGIL di RAGUSA



 TRIBUNALE DI RAGUSA
SEZIONE LAVORO
RICORSO
CON RICHIESTA DI REINTEGRA EX ART. 18 N. 300/’70 e di preliminare provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c.
della signora ROMINA LICCIARDI, nata a Ragusa il 16.07.1975 ed ivi residente in via Rimmaudo n. 2 (c.f.:LCCRMN75L56H163H), rappresentata e difesa dal prof. avv. Carmelo Romeo del Foro di Catania, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Emilia Cavalieri in via Roma n. 200,   Ragusa, giusta procura rilasciata a margine del presente atto, a favore della quale si premette in 
F A T T O
La signora Romina Licciardi ha svolto la propria attività lavorativa presso la CGIL, Camera del Lavoro Territoriale di Ragusa e con sede legale in vico Cairoli (Palaz. Cocim) s.n., e ciò sin dall’ottobre 1998 all’8 aprile 2010 con assunzione a tempo indeterminato e part time, come da buste paga che si producono in copia (all. 1).  A dire il vero, però, è stata regolarizzata solo a partire dal 1° marzo 2000, ma prima - come sarà agevolmente provato in corso di causa - ha svolto la sua attività di lavoro subordinato in nero, e ciò dall’ottobre 1998 al febbraio 2000. Ed infatti, come risulta anche sotto il profilo documentale, la ricorrente è stata la responsabile dello Sportello Lavoro della CGIL di Ragusa, ancor prima della sua regolarizzazione contrattuale. A tal fine si producono n. 2 articoli della Gazzetta del Sud (all. 2), rispettivamente del 15 e del 19 gennaio 2000 che attestano quanto sopra, nonché il tabulato INPS (all. 3) dal quale emerge, invece, che la regolarizzazione del rapporto sia avvenuta solo a far data dal 1° marzo 2000.
Inoltre, da sempre, l’impegno orario è stato in sostanza full time. Ed infatti, nonostante sino al 31 dicembre 2000 risultasse formalmente part time e  avrebbe dovuto fare dalle ore 9,00 alle ore 13,00, dal lunedì al venerdì, diversamente è stata tenuta a svolgere la sua prestazione dalle ore 9,00 alle ore 20,00, con una pausa di un’ora per il pranzo. Tale circostanza emerge dall’impegno pomeridiano della Licciardi, sistematicamente tenuta a svolgere la sua attività sino a sera, come sarà dimostrato dalla prova per testi ed è direttamente provato dall’art. comparso sulla Gazzetta del Sud che attesta un orario pomeridiano (all. 3bis).  
Per la verità, poi, dal 1° gennaio 2001, convenzionalmente, le è stato riconosciuto il full time.
Il profilo di inquadramento, inizialmente C/E, successivamente è risultato inferiore all’effettiva professionalità della ricorrente che, in verità, ha sempre svolto funzioni equivalenti ad un livello di inquadramento in "C/B", come da contratto CGIL del 19 aprile 2004 che si produce in copia (all. 4).
La Licciardi, inizialmente responsabile dello Sportello Lavoro, ha avuto, poi, la delega al mercato del lavoro dal novembre 2002 all’aprile 2004, in quanto in questa data è stata eletta segretaria provinciale confederale (all. 5), incredibilmente mantenendo sempre l’inquadramento in “E”.  Ora, poiché il regolamento della CGIL del 19 luglio 2000 (all. 6) prevede che le cariche elettive debbano essere collocate nei livelli da almeno “D” sino ad “A”, era logico che le ricorrente fosse inquadrata in “C/B”.
Successivamente la ricorrente veniva collocata in aspettativa non retribuita, e ciò a seguito del mandato di Consigliera delle pari opportunità della Provincia di Ragusa (all. 7), su designazione della CGIL Sicilia.
Rientrata in servizio presso la sede della CGIL CdLT di Ragusa nel settembre del 2009, a fronte della richiesta del livello contrattuale di fatto espletato e delle differenze retributive per gli arretrati maturati, le è stato risposto che non aveva diritto a nessun nuovo inquadramento e che il livello doveva rimanere quello iniziale di “E”.  
Tuttavia, non è solo sul piano professionale e retributivo che si avanza la presente pretesa, posto che la ricorrente, nel periodo immediatamente successivo alla sua regolarizzazione contrattuale del 1° marzo 2000, è stata oggetto di pesanti e reiterate persecuzioni da parte dell'allora Segretario Generale provinciale……... Più in particolare, la lavoratrice rappresenta che nell'ottobre del 2000 quest'ultimo, approfittando del fatto che nella sua stanza non vi erano altre persone, improvvisamente, tentava una violenza sessuale, con una reazione immediata della ricorrente che lo respingeva e scappava via.
Purtroppo, nel tempo, i fatti spiacevoli e mortificanti si sono ripetuti e la ricorrente non ha mai avuto il coraggio di denunciare l'autore degli stessi alle Autorità Giudiziarie. Ciò per paura di ritorsioni nel lavoro, in quanto il Sig…….. , suo datore di lavoro ed espressione della massima carica provinciale del sindacato, minacciava di licenziarla. D'altro canto, anche a fronte della cessazione del mandato di quest'ultimo come Segretario generale Provinciale di Ragusa, egli continuava a frequentare la Camera del Lavoro, perché Segretario dei Pensionati (SPI), reiterando persecuzioni e atteggiamenti sgraditi.
Appare chiaro come la condotta del sig. …….. rientri pacificamente tra quei comportamenti che la nostra legislazione definisce “molestie sessuali”, sostanziandosi in “comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo” (art. 26, par. 2, Codice delle pari opportunità, all. 8 bis).
Corre l'obbligo rappresentare che gli episodi di aggressione e persecuzione sessuale, manifestati anche con inequivocabile gestualità, sono stati denunciati a due sindacalisti componenti della segreteria provinciale ed esattamente i sigg.ri Tommaso Fonte ed Elio Cassarino. In verità, entrambi consigliavano una denuncia all'Autorità Giudiziaria, ma la ricorrente, sia per la giovane età, sia perché aveva paura di perdere il posto di lavoro, decideva di non procedere, anche perché, nel frattempo il soggetto in questione, si scusava per gli inqualificabili atteggiamenti e gli innominabili comportamenti da lui tenuti, dichiarandosi fortemente preoccupato di una denuncia.
Però, le molestie, sempre ad opera della stessa persona, continuavano, con un escalation di atti di libidine che ha seriamente intaccato non solo la dignità personale della ricorrente, ma anche la sua vita di relazione, compromettendone la sfera psicologica e emozionale, come risulta dalla documentazione medica che qui si produce:
a) certificati medici dal 2003 al febbraio 2010 (all. 8), attestanti disturbi d’ansia acuti con somatizzazioni viscerali;
b) certificato medico del 21 novembre 2009, attestante che la Licciardi era ammalata dal 15 novembre al 30 dicembre 2009 (all. 9);
c) relazione medico legale (all. 10).
 Pesanti i riverberi sul piano della professionalità della ricorrente, atteso che, ad esempio, veniva continuamente minacciata e ricattata di essere messa pari-time se avesse parlato.
In verità, oltre ai veri e propri atti di violenza che si manifestavano nei tentativi  - sia pure mai riusciti per la strenua opposizione fisica e psicologica della ricorrente - di costringere quest’ultima con la forza a rapporti sessuali, il soggetto in questione ha concretato pure evidenti condizioni di difficoltà, innescando comportamenti di mobbing orizzontale, diffondendo continue maldicenze ai danni della ricorrente e boicottandola nell'attività della prestazione lavorativa.
Alle molestie sessuali, dunque, si aggiungono le molestie in genere, intese – sempre ai sensi del Codice delle pari opportunità. Art. 26, par. 1 - quali “comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.
Solo a titolo esemplificativo si citano due episodi:
a) l'aver trovato la ricorrente, in una carpetta del proprio archivio, pesanti immagini pornografiche, scaricate da internet, con esplicite allusioni alla sua persona (testimoni della vicenda sono il centralinista della CGIL, la componente della segreteria Emilia Guglielmino, il padre della ricorrente ed il compagno di quest'ultima);
b) altro episodio, è stata la voce, capziosamente diffusa presso la sede della CGIL provinciale, che la ricorrente aspettasse un figlio da ………..
Tuttavia, sul piano della gravità degli addebiti a carico di quest’ultimo, si denunciano i continui pressing psicofisici che lasciavano la ricorrente totalmente prostrata.  
II clima di persecuzione induceva la ricorrente ad accettare l’incarico esterno al sindacato di cui già si è detto, utilizzando l'aspettativa senza retribuzione, e cioè, quello presso il locale Ufficio del Lavoro di Consigliera di Parità.  Il mandato, però, cessava il 30/04/2009 e, quindi, si impone per la ricorrente il rientro presso la sede della CGIL CDLT in quanto, sino a quella data aveva goduto di una aspettativa. La ricorrente, memore delle vessazioni che ha subito negli anni, non è, sia pure allo stato attuale, in grado di riprendere l'attività lavorativa, quindi, è stata costretta a ricorrere a certificazioni mediche, che la dichiarano affetta da un "disturbo dell'adattamento, con associati sintomi ansiosi cronici", come già si è detto.
Ma vi è di più. Incredibilmente, come è nello stile dei peggiori datori di lavoro, viene offerto alla ricorrente di sottoscrivere un verbale di conciliazione in sede sindacale (c/o la Camera del Lavoro Territoriale di Ragusa), in data 3 gennaio 2010 (all. 11), con la sottoscrizione del quale la stessa avrebbe dovuto rassegnare le proprie irrevocabili dimissioni, rinunciando ad ogni diritto  in ogni sede giudiziaria.  In detto verbale sono solo presenti rinunzie della lavoratrice, senza alcuna concessione a quest'ultima con l'evidente sospetto che trattasi di un ulteriore strumento di pressione psicologica al fine di farle lasciare il lavoro. La CGIL di Ragusa si adoprava in tal senso sol perché la ricorrente, con il patrocinio di uno stimato avvocato catanese, aveva in data 12 ottobre 2009 (all. 12) inviato una lettera di richiesta pagamento retribuzioni e risarcimento del danno.
La provocazione di dover essere costretta a firmare una conciliazione del tutto lesiva dei diritti della ricorrente induceva quest’ultima, pur temendo le ritorsioni che immediatamente sono, poi, arrivate, a presentare all’Ufficio del lavoro di Ragusa richiesta di tentativo di conciliazione in data 19 gennaio 2010 (all. 13), con il quale si rivendicavano le seguenti richieste:
a) regolarizzazione del rapporto dall'ottobre del 1998 al 30/03/2000 sotto il profilo retributivo e contributivo, con il pagamento di tutte le voci stipendiali non corrisposte;
b) il riconoscimento dell'inquadramento del livello "C/B" anziché "E", con il conseguenziale computo delle differenze retributive;
c) la richiesta di riadibizione nel posto di lavoro, con la qualifica di livello "D", in una sede limitrofa a quella di Ragusa (Siracusa oppure Catania), ovvero presso enti o istituti collaterali all'organizzazione e, in ogni caso, il diritto a veder cessate definitivamente le molestie e le persecuzioni subite;
d) la richiesta di un risarcimento per danno biologico ed alla salute, nonché, per danno alla persona, alla personalità e all'evidente attuale compromissione della vita di relazione pari ad €. 250.000,00 e ciò, in ragione dell'età della ricorrente e delle chance di vita futura della stessa.
Puntualmente, subito dopo la notifica del tentativo di conciliazione, venivano notificate ben sei contestazioni di addebito, ovviamene del tutto strumentali, alle quali la ricorrente rispondeva con ampie e dettagliate giustificazioni (all. 14). La Camera del Lavoro di Ragusa, prescindendo da dati oggettivi e dalle documentate giustificazioni della Licciardi, licenziava quest’ultima per giusta causa (all. 15) in data 8 aprile 2010.
Il licenziamento veniva impugnato tempestivamente ed anche a mezzo di un 2° tentativo di conciliazione in data 16 aprile 2010 (all. 16), lamentando il fatto che, a seguito delle giuste e assolutamente legittime contestazioni della sig.ra Licciardi, la CGIL di Ragusa, invece di ravvedersi, iniziava un’ulteriore fase di persecuzione, basata su accuse del tutto infondate e pretestuose. Più in particolare, attraverso una serie di dichiaratori, a firma dell’attuale segretario generale della Cgil di Ragusa Sig. Giovanni Avola, alla lavoratrice sono state mosse doglianze in assoluto dispregio alla procedura all’art. 7 legge 20 maggio 1970 n.. 300, atteso che, alle diverse lagnanze del datore di lavoro sono corrisposte,sempre e sistematicamente, giustificazioni tempestive e dettagliate. Ma, v’è di più. A seguito delle stesse, infatti, non è intervenuta l’adozione di alcuna sanzione. Quindi, devono ritenersi del tutto caducate.
Diversamente, e arbitrariamente operando, la CGIL di Ragusa ha notificato un licenziamento in tronco senza preavviso e per giusta causa, adottando una sanzione del tutto spropositata e non in linea con il meccanismo di tutela previsto dalla legge.
A causa di tutto ciò, e anche per i comportamenti pregressi, la sig.ra Licciardi ha riportato gravi danni alla sua salute, sub specie di danno biologico, e rispetto ai quali si chiede il giusto risarcimento.
E' solo il caso di rappresentare che la vicenda ha fortemente scosso la locale sede della CGIL, provocando contrasti evidenti tra due schieramenti: coloro che sono sensibili alla ricorrente e sono pronti a darle tutto l'appoggio, anche in sede giudiziaria, e coloro che favoriscono il persecutore della ricorrente.
Ma, vi è molto di più. Questa difesa ha avuto cura di notificare i due tentativi di conciliazione alle sedi regionale e nazionale della CGIL.  In particolare con la sede regionale si è avuta una continua interlocuzione, prima con una richiesta congiunta di rinvio in data 11 giugno 2010, funzionale ad una composizione bonaria della controversia (all. 17),  poi con la redazione di un verbale di mancata conciliazione in data 2 agosto 2010 (all. 18), ma in seno al quale le parti dichiaravano di aver raggiunto un accordo sull’assoluta necessità di conciliare e transigere.  Più in particolare in quella occasione si sottoscriveva che i dettagli dell’accordo erano in fase di avanzata elaborazione e si chiedeva alla Commissione il rinvio al mese di ottobre per la formalizzazione del testo. Incredibilmente la Commissione, invece di favorire l’accordo, decideva di non concedere rinvii arroccandosi in posizioni burocratiche e di rispetto di atti deliberativi che imponevano di trattare solo due volte le conciliazioni.
Per trasparenza e scrupolo difensivo si rappresentano, infine, gli ultimi atti della vicenda.
In data 21 giugno 2010, quindi dopo la notifica del licenziamento, la signora Licciardi riceveva presso gli Uffici della Provincia un’offerta di lavoro da parte della CONAD (all. 19), con richiesta in tal senso pervenuta soggetto terzo (leggasi CGIL di Ragusa), ove le si offriva il posto di aiuto commessa (IV liv. c.c.n.l. del commercio). Incredula, sia della provocazione di essere inquadrata come aiuto commessa dopo aver svolto il prestigioso incarico di Consigliere della pari opportunità e di essere stata segretario confederale della CGIL CDLT Ragusa, sia anche dell’intervento di un “soggetto terzo”,  la ricorrente chiedeva spiegazioni e veniva chiarito che l’interessamento perveniva dall’avv. Giannone ex marito della Licciardi e avvocato della CGIL di Ragusa (all. 20).    
Disperata per le umiliazioni subite la Licciardi decideva di denunciare tutto a mezzo di una conferenza stampa in data 7 febbraio 2010 (all. 21).
Dalla lettera della signora Giovanna Crivelli dell’UDI di Catania, datata 16 febbraio 2010 (all. 22)  risulta che quest’ultima era a conoscenza e da tempo delle violenza che subiva la Licciardi nel suo posto di lavoro e delle ragioni (tutela dell’Organizzazione Sindacale, paura di perdere il posto, ecc.) che hanno indotto la ricorrente a non denunciare immediatamente i torti subiti.
Infine si producono n. 3 articoli di stampa sul caso Licciardi (all. 23)  e il verbale negativo per mancata conciliazione rispetto al secondo tentativo avviato (all. 24), ma con dichiarazioni di apertura verso la conciliazione da parte della CGIL di Ragusa.
Ad ulteriore supporto delle giuste ragioni della ricorrente valgano i seguenti articoli motivi in
D I R I T T O
1. NULLITA’ DEL LICENZIAMENTO PERCHE’ DISCRIMINATORIO, LEGITTIMA RICHIESTA DI RENTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO. REGIME DELL’ONERE DELLA PROVA.
1.1 In via del tutto preliminare questa difesa, al fine di sgombrare ogni dubbio sull’applicazione alla fattispecie de qua della norma sulla reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 legge 20 maggio 1970, n. 300 avverte l’esigenza di precisare quanto appresso.
Il caso in questione rientra, senza che ciò possa essere revocato in dubbio,  nell’ambito di applicazione dell’art. 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, il c.d. “licenziamento discriminatorio”, più esattamente per ritorsione e/o rappresaglia, che consente l’estensione della tutela reale anche alle c.d. organizzazioni di tendenza. Sullo specifico punto riportiamo un significativo arresto della Suprema Corte di Cassazione.
In tema di licenziamento, l'art. 4 della legge n. 108 del 1990, nel riconoscere alle cosiddette organizzazioni di tendenza l'inapplicabilità dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori, fa salva l'ipotesi regolata dall'art. 3 sull'estensione della tutela reale ai licenziamenti nulli in quanto discriminatori; ne consegue che, ove il licenziamento sia stato determinato da motivo di ritorsione o rappresaglia, va ordinata, anche nei confronti di dette associazioni, la reintegra del lavoratore, restando privo di rilievo il livello occupazionale dell'ente e la categoria di appartenenza del dipendente (fattispecie relativa a licenziamento di dirigente di associazione sindacale). (Rigetta, App. Roma, 15 novembre 2007) Cass. civ., Sez. lavoro, 25/07/2008, n. 20500 GIURISPRUDENZA CORRELATA Vedi  Cass. civ. Sez. lavoro, 06/08/2003, n. 11883”.
D’altro canto il principio, confermato da ultimo da una recentissima sentenza della Suprema Corte (Cass. 21967/2010) che ha coniugato la reintegrazione del dipendente al licenziamento per ritorsione e ciò a prescindere dai livelli occupazioni dell’impresa,  è stato ampiamente riconosciuto dalla precedente giurisprudenza, anche di merito, che ne conferma in toto la portata.
La norma dell'art. 3 legge n. 108/1990 sull'estensione ai licenziamenti nulli in quanto discriminatori di cui all'art. 4, legge n. 604/1966 e all'art. 15, legge n. 300/1970, delle conseguenze previste dall'art. 18 della medesima legge n. 300/1970, a prescindere dal numero dei dipendenti e anche a favore dei dirigenti, deve intendersi applicabile in genere ai licenziamenti nulli per illiceità del motivo e, in particolare, a quelli che siano determinati in maniera esclusiva da motivo di ritorsione o rappresaglia. (Cass. civ., Sez. lavoro, 15/03/2006, n. 5635, in Dir. e Pratica Lav., 2009, 38, 2237).
La natura discriminatoria del licenziamento, la quale ricorre se la risoluzione del rapporto sia dipesa da ragioni squisitamente ideologiche attinenti al sesso, alla lingua, alla razza, alla religione, alla politica, all'iscrizione al sindacato, alla partecipazione a uno sciopero, tipizzate nell'articolo 4 della legge 604 del 1966 e nell'articolo 15 della legge 300 del 1970, comporta la nullità dell'atto e determina, in ogni caso, l'applicazione della tutela reale, senza, cioè, esclusioni legate a requisiti di tipo numerico, produttivo o di qualifica, e senza che rilevi la motivazione addotta. (Trib. (Ord.) Santa Maria Capua Vetere, Sez. lavoro, 24/03/2005, in Guida al Diritto, 2005, 25, 52).
Il licenziamento inflitto a seguito di un comportamento legittimo del lavoratore (c.d. licenziamento per rappresaglia o ritorsione) rientra nella categoria - suscettibile di interpretazione estensiva - del licenziamento disposto per motivi discriminatori, affetto da nullità. (Trib. Bari, 30/09/2003, in Gius, 2004, 1026)”.
Orbene, la circostanza che il recesso datoriale in questione sia avvenuto esclusivamente per rappresaglia e/o per ritorsione è agevolmente percepibile solo a voler considerare le scansioni temporali del caso posto all’attenzione dell’Ill.mo Decidente, così come sono state dettagliatamente indicate (e documentate) dalla prospettazione in fatto.
1.2. In altri termini, non è seriamente ipotizzabile che il licenziamento intimato sia avvenuto per una giusta causa, o meglio a seguito delle contestazioni di addebito e ciò per le seguenti sintetiche ragioni.
A)  In primo luogo, anche a voler concedere - ma solo in astratto e per mera teoria - che siano fondati degli addebiti, il datore di lavoro, non conoscendo evidentemente la procedura, non li ha sanzionati singolarmente,  mancando di innescare così il meccanismo della c.d. “recidiva” che, si ripete, in linea del tutto teorica, avrebbe potuto portare al licenziamento.
Sul punto coerentemente la giurisprudenza ha così statuito.
“Il datore di lavoro non può cumulare una pluralità di contestazioni non seguite da provvedimenti sanzionatori di tipo conservativo per applicare direttamente la più grave delle sanzioni, vale a dire il licenziamento disciplinare, posto che tale comportamento limita il diritto di difesa del lavoratore contraddicendo lo spirito stesso dell'art. 7, legge n. 300/1970 che, a tutela della sua libertà e dignità, ha inderogabilmente condizionato al rispetto di precise regole l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro. Trib. Milano, 25/06/2004, in Dir. e Pratica Lav., 2009, 31, 1844”.
B) Ma, la verità è che le singole contestazioni sono del tutto surrettizie e strumentali, atteso che la notifica delle stesse (la prima è del 3 febbraio 2010) è avvenuta solo dopo che la Licciardi ha notificato il tentativo di conciliazione del 19 gennaio 2010. Ora, valutando i fatti contestati nel primo e nel terzo dichiaratorio aziendale che riguardano accadimenti anteriori alla notifica del tentativo di conciliazione, mentre nel secondo e nel quarto riguardo lo stesso episodio (si cfr. l’all.to 14), la strumentalità alla quale ha fatto ricorso il datore di lavoro diviene di tutta evidenza
C) Conseguenziale è, poi, l’eccezione di questa difesa sulla tardività delle contestazioni, rappresentative di fatti ben noti alla CGIL e solo dopo la notifica del tentativo di conciliazione utilizzati in chiave disciplinare. Anche in questo caso ci soccorre la giurisprudenza che ha stigmatizzato la condotta datoriale per vicende analoghe.
Con riferimento alla tempestività della contestazione di plurimi addebiti posti a fondamento del licenziamento disciplinare, è illegittimo il comportamento del datore di lavoro che in una condotta progressiva sostanzialmente unitaria del lavoratore ravvisi la successione nel tempo di una pluralità di violazioni disciplinari e quindi, scomponendo tale condotta in più fatti illeciti, utilizzi il fatto addebitato successivamente per contestare la recidiva rispetto a quello contestato per primo, risultando in tal caso violato il principio dell'immediatezza della contestazione che impone di non frapporre indugi tali da determinare un cumulo di addebiti. Cass. civ., Sez. lavoro, 07/09/2000, n. 11817, in Dir. e Pratica Lav., 2009, 31, 1843”
D) Nel merito, riportandoci integralmente alle analitiche controdeduzioni che la ricorrente ha mosso alle singole contestazioni, emerge che queste ultime facciano parte di un vero e proprio disegno criminoso e ritorsivo, e non certo di una seria determinazione datoriale rivolta a perseguire comportamenti realmente illegittimi. La pretestuosità delle contestazioni in argomento lasciano intravedere l’assoluta arbitrarietà della condotta della CGIL-datore di lavoro, non certo ispirata ai canoni di buona fede e correttezza. 
1.3. Infine, non è possibile tacere che il licenziamento è stato irrogato a causa delle proteste della dipendente e coerentemente sul punto la giurisprudenza ne ha stabilito l’illegittimità.
Il licenziamento irrogato a causa delle proteste della dipendente per essere stata sottoposta a molestie sessuali da un suo superiore è illegittimo ove il datore di lavoro ometta ogni verifica circa la fondatezza della proteste (nella specie, comunque, il giudice ha anche ritenuto che i fatti denunciati dalla dipendente sussistessero effettivamente). Cfr. Trib. Milano, 30/01/2001. in Riv. Critica Dir. Lav., 2001, 483, ZEZZA).”
Nella controversia de qua, poi, ricorrono integralmente tutti gli elementi dei motivi discriminatori in ragione del fatto che la Licciardi con il tentativo di conciliazione ha palesato tutte le vessazioni subite. In tal senso si veda la giurisprudenza di merito.
Deve ritenersi ricondotto al motivo discriminatorio in ragione del sesso il licenziamento di una lavoratrice allorchè ci sia la prova per presunzioni di comportamenti molesti nei suoi confronti e manchino validi motivi del licenziamento. Infatti il regime della prova presuntiva, che è prova piena quando ricorrono i presupposti di cui all'art. 2729 c.c. è stato adottato dal legislatore in tema di discriminazione sessuale, anche in caso di licenziamento che si basa su un tale motivo discriminatorio - art. 4, comma 5, l. n. 125 del 1991 - imponendo al datore di lavoro un'inversione dell'onere della prova, dato che la prova diretta della discriminazione sessuale, posta in essere con comportamenti molesti, difficilmente può raggiungersi se non con presunzioni sia perchè non sempre il comportamento molesto viene perpetrato in modo percepibile da persone diverse dal destinatario, sia perchè non è facile raccogliere una testimonianza diretta e precisa in quanto chi ha assistito a tali comportamenti spesso non è in grado di comprenderne la valenza negativa e contraria al diritto ed è perciò restio a riferire su di essi. (Pret. Milano, 27/05/1996, in Lavoro nella Giur., 1996, 946)”.
In ogni caso è bene sottolineare, da ultimo, che il Codice delle pari opportunità, all’art. 26, par. 3, stabilisce che: “Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresì, discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne”.
E’ lampante che il caso della sig.ra Licciardi rientri nella previsione del menzionato articolo e, pertanto, anche sotto questo ulteriore profilo il licenziamento deve essere considerato nullo ex lege.
1. 4. Infine, è solo il caso di aggiungere, per scrupolo difensivo, che la norma di cui all’art. 4 della legge n. 125/’91, formalmente abrogata, oggi va riletta alla luce dell’art. 40 del D. Lgs. 11 arile 2006, n. 198 che, come è noto, stabilisce un regime dell’onere della prova particolarmente favorevole per il ricorrente che fornisce elementi di fatto idonei a fondare, in termini precisi e concordati, la presunzione dell’esistenza di comportamenti discriminatori in ragione del sesso.  In tale ipotesi dovrà essere il convenuto a provare l’insussistenza delle discriminazioni denunciate, così come coerentemente ha statuito la giurisprudenza in argomento.
In base all'art. 40 del D.Lgs. n. 198/2006 ("Codice delle pari opportunità tra uomo e donna") - nel quale è confluito il previgente art. 4 della L. n. 125/1991 - qualunque onere probatorio del datore di lavoro convenuto circa l'insussistenza di una discriminazione sorge solo dopo che il lavoratore ricorrente abbia fornito "elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in camera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso.(Trib. Torino, Sez. lavoro, 02/10/2009)”.
Sempre sotto il profilo probatorio, si deve tenere conto che il Codice delle pari opportunità, così come la normativa comunitaria che recepisce, stabilisce che la molestia viene ritenuta inaccettabile qualora i comportamenti che la compongono siano indesiderati, sconvenienti e offensivi per coloro che li subiscono. La caratteristica essenziale dell'abuso a sfondo sessuale sta nel fatto che si tratta di un atto indesiderato da parte di chi lo patisce e che spetta al singolo individuo stabilire quale comportamento egli possa tollerare e quale sia da considerarsi offensivo.
A prescindere, dunque, dall’esistenza inconfutabile di atti molesti e persecutori perpetrati ai danni della ricorrente, si deve tenere comunque conto che il parametro di valutazione della “molestia” è essenzialmente di tipo soggettivo.
2. ASSOLUTA VERIDICITA’ DEI FATTI. MOBBING E RISARCIMENTO DEL DANNO
La fattispecie de qua oltre che rientrare a pieno titolo nel caso di molestie sessuali nel luogo di lavoro, con un aggravamento della condotta lesiva in ragione della posizione di assoggettamento al datore di lavoro, configura pacificamente anche ipotesi di mobbing. Come sottolineato dagli studiosi di psicologia del lavoro è possibile distinguere tra mobbing e molestie sessuali. La molestia sessuale, infatti, può essere costituita anche da un solo atto, mentre il mobbing deve essere sistematico. I1 molestatore ha, nei confronti della vittima, un chiaro intento libidinoso, il mobber può tendere a dare fastidio, punire, denigrare, espellere. La Licciardi, pertanto, è stata vittima sia di molestie, tanto sessuali che non, ed è stata oggetto di ripetute pratiche di mobbing.
Ed infatti, come sarà agevolmente dimostrato attraverso l’escussione dei testi, la Licciardi aveva confidato ad altri che non intendeva denunciare il suo molestatore almeno per due ragioni: a) il senso di appartenenza alla CGIL che avrebbe ricevuto un danno d’immagine notevole dall’accaduto; b) la paura di ritorsioni a suo danno perché il molestatore era il Segretario Generale della CGIL di Ragusa, quindi, il suo datore di lavoro e ciò avrebbe pregiudicato il posto di lavoro.
Orbene le due conseguenze si sono avverate: i mass media hanno trasmesso per televisione e pubblicato  tutti i fatti e le circostanze della vicenda, allorquando la Licciardi, rientrata dal periodo di incarico extra moenia  di consigliera delle pari opportunità , non ha potuto fare a meno di denunciare le violenze subite; puntualmente la CGIL di Ragusa decide di eliminare una persona indesiderata, perpetrando ai suoi danni un’ulteriore persecuzione.
Il caso è stato esaminato, sia pure solo con talune analogie, dalla giurisprudenza di merito.
Tra le tipologie di mobbing (orizzontale, verticale...) si individua il cd. "bossing", che è una specie di mobbing strategico, essendo attuato dall'azienda al preciso fine di ridurre il personale o di eliminare una persona indesiderata; viene esercitato direttamente dal datore di lavoro e, diversamente dal mobbing verticale (che ha una origine individuale e non sistematica), assurge a vera e propria strategia aziendale pianificata in modo peculiare, freddo e lucido. Tra le azioni mobbizzanti più frequenti negli ambienti di lavoro vi sono il demansionamento (ipotesi tipica di mobbing), la protratta inattività forzata del lavoratore, il licenziamento ingiurioso, le molestie sessuali ed il trasferimento del lavoratore. Ex art. 2087 cod. civ., il datore di lavoro deve predisporre tassativamente tutte le misure che si rivelino idonee a tutelare l'integrità psichica del lavoratore; sul datore di lavoro grava inoltre il generale obbligo di "neminem laedere" espresso dall'art. 2043 cod. civ. Il danno biologico (danno psichico), inteso come danno all'integrità psico-fisica della persona in sé considerato e risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito, è il tipico danno subito dalla vittima di un mobbing. (Trib. Lanciano, 18/09/2008).”
E’ di tutta evidenza che da un tale comportamento datoriale sia poi scaturito un evidente danno biologico per la ricorrente, inteso anche come danno psico-fisico, la cui pretesa è già stata avanzata nel tentativo di conciliazione ed è pari a € 250.00,00, comprensivo del danno morale perché conseguente ad un fatto lesivo che costituisce ipotesi di reato. Del resto la Cassazione ha di recente confermato (Cass. civ., Sez. lavoro, 19/05/2010, n. 12318) il pieno diritto del molestato ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, utilizzando, quanto al danno morale, il criterio dell'odiosità della condotta lesiva nei confronti di persona in posizione di soggezione, e, quanto al danno esistenziale, quello della rilevanza del clima di intimidazione creato nell'ambiente lavorativo dal comportamento del datore di lavoro.
Si tenga conto, ancora, di quanto previsto in materia di “pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego” dalla direttiva 2006/54/CE (all. 8 ter, di cui il Codice delle pari opportunità costituisce atto di recepimento)  in merito “alle sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva” stabilisce che “le sanzioni … devono essere effettive, proporzionate e dissuasive” (art. 25).
Nel caso di specie, l’odiosità della condotta appare ancora maggiore stante il fatto che essa è stata posta in essere proprio da uno di quei rappresentati sindacali – e avallata dalla CGIL tutta - che il Codice di pari opportunità indica invece come soggetto che dovrebbe vigilare a che nessuna molestia o discriminazione si verifichi sul luogo di lavoro. La sanzione da irrogare, non vi sono dubbi, deve essere ancor più dissuasiva alla luce del fortissimo disvalore sociale e giuridico del comportamento del resistente.
Ora, si consideri che tale domanda viene spiegata anche nei riguardi dell’autore del danno, e cioè il sig. …………, diretto legittimato passivo perché responsabile delle violenze subite dalla ricorrente.
Sullo specifico punto, oltre alla produzione di idonea certificazione medica, sono state allegate due relazioni specialistiche attestanti l’evidente nesso di causalità tra le molestie subiti e il danno alla persona della ricorrente.  Più in particolare, dall’anamnesi della patologia denunciata emerge una sicura riconducibilità ai comportamenti vessatori e di pieno dispregio della persona umana che sono stati consumati tra le mura della CGIL di Ragusa.
Ma, vi è di più. La CGIL procedeva con richiesta di visite medico-fiscali continue nei riguardi della Licciardi, in contrasto con quanto era ed è solita fare per il suo personale nei confronti del quale non ha adottato alcun sistema di rilevazione delle presenze giornaliere. E’ di tutta evidenza che tale sistema di controllo datoriale, in astratto legittimo, finiva solo per essere utilizzato esclusivamente nei riguardi della Signora Licciardi, con evidente situazione di discriminazione rispetto ad altro personale, assente per malattia e mai controllato e, quindi, con evidente ipotesi di abuso del diritto in senso esclusivamente unidirezionale. 
3. GIUSTE PRETESE ECONOMICHE.
Come già è stato denunciato in punto di fatto, la ricorrente ha effettivamente iniziato il suo rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno per la Cgil Camera del lavoro territoriale di Ragusa, a partire dal 1/10/1998, venendo retribuita con rimborsi spese di £ 250.000 mensili, e ciò fino al 1/03/2000. L’inquadramento attribuito alla ricorrente al momento dell’assunzione era quello del livello C/E del regolamento per il personale della Cgil. Il 20/11/2002 la ricorrente è stata eletta  segretaria provinciale confederale dal direttivo provinciale della Cgil e pertanto alla stessa, in applicazione del regolamento per il personale della Cgil e come già si detto, doveva essere attribuito l’inquadramento del livello C/B.
Successivamente, a far data dal 1/07/2004 e fino al 31/08/2009, la ricorrente è stata collocata in aspettativa non retribuita, in quanto designata dalla stessa parte datoriale, a svolgere l’incarico di Consigliera di Parita’ presso UPLMO di Ragusa.  A  seguito di tentativo di conciliazione inviato in data 19/1/2010,la parte datoriale ha dato seguito alla richiesta del nuovo inquadramento con decorrenza Febbraio 2010,  ma senza riconoscere le differenze retributive e contributive maturate dal 1/11/2003. Si precisa altresì che le retribuzioni corrisposte alla ricorrente in busta paga per i livelli di inquadramento attribuito, non corrispondono a quanto previsto delle tabelle retributive allegate al regolamento per il personale della Cgil.
Inoltre, la ricorrente ha usufruito solo di 12 giorni di ferie l’anno, a fronte delle 26 giornate previste dal regolamento per il personale, in concomitanza con la chiusura  delle Camera del lavoro di Ragusa nella settimana antecedente e successiva il Ferragosto. Infine alla ricorrente non e’ mai stato riconosciuto l’E D R (elemento distinto dalla retribuzione) espressamente previsto dal regolamento Cgil (art.30) prodotto da questa difesa. 
Per tale effetto alla ricorrente devono essere corrisposte le seguenti spettanze, in riferimento al  Regolamento CGIL (regolamento  normativo) anni: 1998/2002; tabelle retributive allegate al regolamento Cgil biennio 1998/2000 e  2000/2002.
3.1 Buste paga
Anno 1998
Retribuzione mensile lorda regolamento Cgil  livello C/E   
Ottobre               £  3.012.000
Novembre          £  3.010.000
Dicembre           £  3.012.000
 Totale retribuzioni lorde maturate £.   9.036.000
 Rimborsi spese percepiti: £750.000
Totale retribuzioni lorde da percepire £ 8.286.000
Ferie maturate e non godute gg.6 : £ 695.076; Rateo 13 ma mensilità: £ 753.000; Rateo T F R: £ 669.333; E.D.R. (£ 5000 medie per ogni giornata di effettiva presenza) art.30 regolamento Cgil. Giornate lavorative 66 x £ 5000 = £ 3.300.000.
Totale da percepire anno 1998 ammonta a £ 13.703.409

Anno 1999

Retribuzione mensile lorda 3.012.000 x 14 mensilità = £ 42.168.000
Rimborsi spese percepiti  250.000 x 12 mensilita’   = £ 3.000.000
Totale retribuzioni lorde da percepire = £ 39.168.000
Ferie maturate e non godute gg.14 =   £ 1.506.000
T F R Maturato = £ 3.123.555
EDR per 11 mensilità (£ 5000 x 220 giornate lavorative) = £ 11.000.000
Totale da percepire anno 1999 = £ 57.797.555

Anno 2000 

Gennaio  retribuzione lorda mensile da percepire = £ 3.041.500
Febbraio  retribuzione lorda mensile da percepire = £ 3.041.500
Rimborsi spese percepiti=£ 500.000
Retribuzioni da percepire per le mensilita’ gennaio e febbraio=£ 5.583.000
Retribuzioni lorde part time percepite dal 1/3/2000 al 30/09/2000 =
£ 1.134.000 x 7 mensilita’= £ 7.938.000
Differenze retributive da part time a full time, regolamento cgil, = £ 3.334.900
Differenze retributive lorde dal 1/10/2000 al 31/12/2000
 £ 2.229.000  (erogate in busta) x 3 mensilita’= 6.687.000
 £ 3.041.000  (regolameto cgil livello C/E)   =   9.123.000
Differenza retributiva da percepire = £ 2.436.000
Ferie maturate e non godute  14 gg. =£  1.520.500
Differenze su T F R                          = £ 1.633.185
EDR per 11 mensilita’(£ 5000 x 220 giornate lavorative)= £ 11.000.000
Totale:
Differenze retributive = £ 21.353.900
Differenze su T F R    = £   1.633.185
Ferie maturate non godute =£ 1.520.500
Totale complessivo £ 35.507.585
ANNO 2001 livello di inquadramento C/E
Retribuzione lorda annua percepita = £ 31.766.000
Retribuzione lorda annua regolamento Cgil   Livello C/E = 42.581.100
Differenza retributiva lorda annua = £ 10.815.00
Ferie maturate e non godute gg 14 = £ 1.520.753
Differenze su  T F R  = £  801.111
EDR per 11 mensilità (£ 5000 x 220 giornate lavorative)= £ 11.000.000
Totale complessivo da percepire= £ 24.136.864
ANNO 2002 livello di inquadramento C/E
Retribuzione lorda annua percepita =£ 32.464.040
Retribuzione lorda annua regolamento Cgil = £ 44.984.800
Differenza retributiva annua lorda = £ 12.520.760
Ferie maturate e non godute = £ 1.606.600
Differenze su T F R              = £ 927.463
EDR per 11 mensilità (£ 5000 x 220 giornate lavorative)= £ 11.000.00
Totale complessivo da percepire = £ 26.054.823
ANNO 2003 livello C/B
Retribuzione lorda annua percepita Livello C/E = £ 34.272.000
Retribuzione lorda annua da percepire livello C/B regolamento CGIL = £ 58.758.000
Differenza retributiva lorda annua da percepire = £ 24.486.000
Ferie maturate e non godute gg.14 = £ 2.098.500
Differenza su T F R                        = £ 1.813.777
EDR per 11 mensilità ( £ 5000 x 220 giornate lavorative) = £ 11.000.000
Totale differenze da percepire = £ 39.398.277
ANNO 2004 (dal 01/01/2004 al 30/06/2004) livello C/B
Retribuzione lorda percepita livello C/E = £ 18.960.000
Retribuzione lorda da percepire livello C/B regolamento Cgil = £ 25.182.000
Differenza retributiva lorda da percepire = £ 6.629.000
Ferie maturate e non godute gg.14 = £ 2.098.500
Differenza su  T F R                       = £ 906.888
EDR per 11 mensilità (£5000 x 110 giornate lavorative) = £ 5.500.000
Totale differenze da percepire = £ 15.134.388
3.2. Riepilogo complessivo per mancate retribuzioni, differenze retributive, ferie maturate e non godute, differenze su TFR:
Per mancate retribuzioni := £ 53.037.000
Per differenze retributive = £ 70.221.660
Per ferie maturate e non godute = £ 11.045.929
Per differenze T F R             = £ 9.875.312
Rateo 13 mensilita’ 1998      = £ 753.000
EDR (£ 5000 x 220 giornate lavorative)= £ 63.800.000
Totale complessivo da percepire in £ 208.773.070
Totale complessivo convertito in €. :107.000,08
Totale complessivo comprensivo di rivalutazione monetaria e interessi legali: €. 136.994,06.
4. EFFETTO VINCOLANTE DELLE DICHIARAZIONI RESE NEL VERBALE DI CONCILIAZIONE.
Se è vero che sotto il profilo meramente formale i due verbali di conciliazione sono negativi per la mancata conciliazione, è anche vero che nel verbale del 2 agosto 2010 (all. 17) la CGIL regionale, assunte le vesti di datore di lavoro della ricorrente, espressamente dichiarava di aver raggiunto un accordo di massima sull’assoluta opportunità di conciliare e transigere la controversia de qua.  In particolare i termini dell’accordo erano per un distacco della ricorrente presso la Cassa Edile di Ragusa (ente bilaterale che vede la partecipazione della CGIL), oppure presso una sede sindacale diversa da quella di Ragusa.
Parimenti conciliante appare la posizione della CGIL di Ragusa nel verbale del 18 ottobre 2010, sulla possibilità di formalizzare una concreta soluzione transattive.
In verità il reale motivo per il quale non è stato possibile raggiungere la conciliazione è imputabile all’ULPMO di Ragusa che non ha voluto in alcun modo concedere un rinvio per la  formalizzazione di un accordo sull’incresciosa vicenda.
Orbene, sarà compito del Signor Giudice trarre dalle dichiarazioni datoriali la sicura valenza negoziale, incisiva della posizione delle parti convenute. In altri termini, non sarà possibile ignorare la precisa volontà espressa dalla CGIL regionale e provinciale circa l’opportunità di conciliare la controversia, e conseguentemente la valenza novativa delle dichiarazioni rese a verbale rispetto all’originaria posizione datoriale di un licenziamento per giusta causa. 
Senza poter tacere che le dichiarazioni sottoscritte circa l’esistenza di un verbale di conciliazione già redatto nei suoi punti salienti da parte della CGIL regionale condizionano quest’ultima nella sua linea difensiva che non potrà che essere in perfetta linea con le dichiarazioni rese in precedenza.
RICHIESTA PROVVEDIMENTO CAUTELARE
Preliminarmente, in merito alla richiesta di provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. in corso di causa si rappresenta che il licenziamento è avvenuto in data 8 aprile 2010. Orbene, non si è proceduto ad una tempestiva impugnazione in sede giudiziaria perché, sin dalla notifica del 1° tentativo di conciliazione del 19 gennaio 2010, la CGIL, sia a livello nazionale, sia regionale, sia provinciale, ha mostrato l’intendimento di conciliare con estenuanti trattative che si sono concluse anche per l’intransigenza della Commissione di Conciliazione di Ragusa.
Sotto tale profilo, quindi, nell’evidenza di una trattativa che si è protratta  per alcuni mesi - la data dalla quale è stato possibile procedere in via giudiziaria è quella del 18 ottobre 2010 e cioè quella dell’ultimo tentativo di conciliazione -, solo ora la Licciardi è stata costretta ad azionare i suoi diritti in sede giudiziaria.  Da qui l’ulteriore evidenza che non possa essere contestata a questa difesa alcuna tardività nel proporre l’azione ex art. 700 c.p.c.., perché la ricorrente è stata indotta in inganno per avere pensato di essere prossima ad una chiusura della lite, così senza la necessità di proporre ricorso giurisdizionale.
Quanto alla sicura sussistenza dei presupposti della procedura interinale qui incoata, nella certezza che non vi possa essere dubbio alcuno sul prescritto fumus boni iuris, si sottolinea l’evidenza del periculum in mora. Ed infatti, la ricorrente ha contratto un mutuo fondiario nell’ottobre del 2008 (all. 25), è monoreddito come risulta dal suo stato di famiglia (all. 26), è stata costretta a richiedere un finanziamento (all. 27), ha dovuto pagare in data 25 maggio 2010 la somma di €. 2.900,00 per situazioni debitorie pregresse (all. 28), deve far fronte ad un prestito chirografario con scadenza 11 maggio 2016 (all. 29) e, infine, è stata costretta a vendere la propria auto (all. 30).
Anche in considerazione della documentazione prodotta si insiste sulla richiesta di provvedimento d’urgenza, con effetti anticipatori e sommari esclusivamente limitati alla reintegrazione nel posto di lavoro.
Alla luce di quanto sopra esposto e in coerenza, riguardo la domanda di cognizione piena
V O G L I A
l’Ill.mo Tribunale del Lavoro adito, rigettata ogni altra deduzione, eccezione e difesa, così statuire.
1. Accertare e riconoscere che il licenziamento intimato alla signora Romina Licciardi non solo è privo di giusta causa, ma ha contenuti discriminatori e/o ritorsivi.
2. Per l’effetto statuire sulla nullità del recesso de quo con condanna in solido della CGIL di Ragusa con sede legale in vico Cairoli, della CGIL regionale con sede legale in via Barnabei n. 22 – 90143 Palermo e della CGIL nazionale con sede legale in Corso Italia 25 – 00144 Roma, tutte in persona dei rispettivi rappresentanti legali, alla reitegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di tutte le retribuzioni globali lorde maturate dal licenziamento sino all’effettiva reintegrazione.
3. Accertare e riconoscere che la qualifica di fatto posseduta dalla ricorrente era quella del livello “C/B”, e non già “E” come erroneamente inquadrata, e ciò in ragione dell’art. 30 del regolamento CGIL (all. 4) e della tabella inquadramento (all. 6), oltre l’art. 36 Cost..
4. Condannare le parti resistenti in favore della ricorrente, sempre in solido, al pagamento della somma complessiva e a titolo di differenze, come da conteggi contenuti nel presente ricorso, di €. 136,994,06, oltre rivalutazione e interessi legali, oppure altra maggiore o minore somma che sarà statuita nel corso della causa.
5. Condannare, sempre in solido le parti resistenti per tale capo di domanda,in favore della ricorrente, al pagamento della somma di €. 250.000,00 per danno biologico, morale e alla persona, oppure altra maggiore o minor somma che sarà determinata dal Tribunale.
6. Si chiede, infine, la condanna alle spese, competenze e onorari del presene giudizio, oltre IVA e C.P., da distrarre a favore del sottoscritto difensore antistatario.
IN VIA ISTRUTTORIA
Si fa precisa istanza per ottenere le seguenti richieste:
A. Duplice consulenza tecnica d’ufficio: a) in merito all’entità del danno biologico e alla vita di relazione della ricorrente, nonché del danno morale subito, con ulteriore valutazione del danno esistenziale e non patrimoniale; b) al fine di verificare la correttezza contabile dei documenti offerti.
B. Ordinare l’esibizione e che disposta la produzione della bozza di verbale di accordo redatto dalla CGIL Regionale, come dichiarato avanti all’ULPMO di Ragusa da quest’ultima in seno al verbale di conciliazione dell’8 agosto 2010
C. Ordinare alla CGIL di Ragusa e alle categorie consociate a) la produzione dei libri paga e matricola di tutti i dipendenti e del libro unico, b) di produrre tutte le richieste di visita fiscale avanzate all’INPS per i dipendenti in malattia in quest’ultimo biennio e, infine, c) il registro delle rilevazioni giornaliere dei dipendenti..
D. Interrogatorio formale delle parti resistenti e prova per testi sui seguenti articolati.
1. Vero o no che la ricorrente ha lavorato alle dipendenze della CGIL di Ragusa dall’ottobre del 1998 all’8 aprile 2010, prestando prima la sua attività come responsabile dello Sportello Lavoro della CGIL sino al 31 dicembre 2000, poi, senza alcuna soluzione di continuità, sino al 28 febbraio 2003 come responsabile dello Sportello Lavoro e del Mercato del Lavoro (sul punto si indicano i testi Luisa Occhipinti, Riccardo Iacono e Giuseppe Calabrese giornalista).
2. Vero o no che nel mese di novembre 2002 è stata eletta segretaria confederale della CGIL di Ragusa, con funzioni di coordinamento e controllo su altro personale e sulla struttura territoriale, e che la carica elettiva in questione impone l’inquadramento nell’area dirigenti e funzionari politici (sul punto si indicano i testi Giuseppe Calabrese giornalista, Carmelo Cassarino e Salvatore Carpintieri).
 . 3. Vero o no che dall’aprile del 2004 è stata collocata in aspettativa non retribuita per lo svolgimento del mandato di consigliere della pari opportunità della provincia di Ragusa (sul punto si indicano i testi Carmelo Di Liberto gia’ segretario generale Cgil Sicilia e Giovanna Cento gia’ resp. pari opportunita’ Cgil Sicilia).
4. Vero o no che al rientro nel suo posto di lavoro, nel settembre 2009, chiedeva la regolarizzazione del suo inquadramento, e le è stato rifiutato ogni diritto alla effettiva qualifica (sul punto si indicano i testi Marco Di Luccio(resp.dipartimento organizzazione Cgil nazionale) e Mariella Maggio (segretario generale Cgil Sicilia).
5. Vero o no che la Signora Licciardi è stata sempre tenuta al seguente orario di lavoro: dalle 9,00 alle 13,30, un’ora per la pausa pranzo e poi ininterrottamente sino alle ore 20,00 dal lunedì al venerdì. Il sabato lavorava solo di mattina dalle 9,00 alle 13,00 (sul punto si indicano i testi avv. Gisella Scollo, Riccardo Iacono e Gianni Occhipinti).
 6. Vero o no che la Signora Licciardi, sin dal marzo dell’anno 2000, è stata oggetto di continue molestie sessuali perpetrate ai suoi danni dal sig. ……., all’epoca Segretario Generale Provinciale della CGIL di Ragusa, e che, dopo l’accaduto, denunciava l’episodio ai sigg. Tommaso Fonte ed Elio Cassarino, all’epoca componenti della segreteria provinciale, che la invitavano a denunciare all’Autorità Giudiziaria (sul punto si indicano i testi Tommaso Fonte, Enrico Panini (resp. organizzazione cgil nazionale, Aitanga Giraldi, Giuseppe Casadio(gia’ segr.nazionale Cgil ed Carmelo Cassarino).
7. Vero o no che la ricorrente, tratta in inganno per un apparente pentimento del Segretario in questione, veniva poi ulteriormente perseguitata con una gestualità volgare, inequivocabili atteggiamenti e tentativi di violenza (sul punto si indicano i testi Carmelo Cassarino, Italo Tripi (gia’ segretario generale Cgil Sicilia) e Giovanna Cento.
8. Vero o no che la signora Licciardi non ha proceduto negli anni a denunciare le violenza  subite, sia perché ricattata, con minaccia di essere licenziata e perdere così il posto di lavoro ove mai avesse denunciato le continue molestie, e sia  perché  temeva per il discredito che ne sarebbe venuto all’intera organizzazione sindacale (sul punto si indicano i testi Giovanna Crivelli(resp Udi Catani) e Aitanga Girali (gia’ resp. dipartimento pari opportunita’ Cgil nazionale).
9. Vero o no che il sig. ……….. ha diffuso continue maldicenze nei confronti della ricorrente, nonché di poterne disporre a sua piacimento (sul punto si indica il teste Francesco Renna(diretto Inca Cgil Ragusa).
10. Vero o no che la ricorrente in qualche occasione ha rinvenuto, nella carpetta di lavoro custodita nella scrivania della sua stanza, immagini pornografiche con esplicita allusione alla sua persona(sul punto si indicano i testi Emilia Gugliemino, Francesco Licciardi e Tommaso Fonte).
 11. Vero o no che il sig……….. confidava ad altri: “meno male che la Licciardi aveva accettato il ruolo di Consigliera di parita’ perché altrimenti l’avrei fatta morire” e che la ricorrente  “era una nullità”, con evidenti boicottaggi nel luogo di lavoro quali l’esclusioni ad incontri e convegni inerenti l’attività della ricorrente, l’esclusione da ogni ruolo politico all’interno del sindacato  e che non meritava il suo posto di lavoro (sul punto si indicano i testi Nunzia Puglisi e Tommaso Fonte).
12. Vero o no che nel corso dell’estate del 2005, riceveva messaggi scritti con le seguenti frasi: “un massacro e tanto sangue”, “bastardo devi morire (n.d.r. rivolta al compagno della ricorrente)” seguite da telefonate anonime di minaccia (sul punto si indicano i testi Tommaso Fonte, dott.ssa Mariliana Tumino(Dirigente Digos Ragusa),( l’Ispettore Digos) Giorgio Cavalieri e Maurizio Campo).
13. Vero o no che il dott. Alessandro Tumino tra il dicembre del 2009 e il gennaio, a nome della CGIL di Ragusa e su esplicita richiesta del segretario generale della Cgil di Ragusa Sig. Giovanni Avola, propone alla ricorrente di presentare le dimissioni e poi successivamente gli consegna un verbale di conciliazione (sub. all. 11) con la promessa che se l’avesse firmato avrebbe avuto la conferma della carica di consigliere delle pari opportunità (sul punto si indicano i testi dott. Alessandro Tumino, Marco Di Luccio, Aitanga Giraldi e Mariella Maggio).
14. Vero o no che l’avv.to Antonio Giannone, in nome e per conto della CGIL di Ragusa, sollecitava la CONAD ad assumere come aiuto commessa la ricorrente (sul punto si indicano i testi Marco Di Luccio e Mariella Maggio).
Si fa riserva di indicare alla prima udienza di merito la residenza dei testi, nonché di indicare ulteriori testi, chiedendo sin d’ora di essere autorizzati, nell’eventualità di articolati di controparte, alla controprova.
Si allegano i seguenti documenti:
1. buste Paga;
2. n. 2 articoli della Gazzetta del Sud del gennaio 2000;
3. tabulato INPS;
3bis. articolo del 13 luglio 2000 della Gazzetta del Sud;
4. c.c.n.l. del 19 aprile 2004;
5. articolo della Gazzetta del Sud del 21/11/2002;
6. allegati al contratto sulle declaratorie delle qualifiche;
7.  incarico di consigliera delle pari opportunità della provincia di Ragusa;
8. n. 3 certificazioni mediche;
      8 bis. Codice delle pari opportunità (d. lgs. 11 aprile 2006, n. 198);
      8 ter. Direttiva 2006/54/CE;
9. certificato di malattia;
10. relazione medica di parte;
11. verbale di conciliazione predisposto dalla CGIL di Ragusa e consegnata alla ricorrente dal dott. Tumino;
12. lettera avv.to Andronico;
13. tentativo di conciliazione del 19 gennaio 2010;
14. n. 6 contestazioni di addebiti con relative risposte della ricorrente;
15. lettera di licenziamento;
16. secondo tentativo di conciliazione con impugnativa di licenziamento;
17. richiesta congiunta di rinvio del tentativo di conciliazione;
18. verbale di conciliazione contenenti dichiarazioni della CGIL regionale;
19. proposta assunzione della CANAD;
20. richiesta chiarimenti della signora Licciardi e risposta della CONAD;
21.dichiarazione stampa della ricorrente del 7 febbraio 2010;
22. lettera di Giovanna Crivelli;
23. n. tre articoli di stampa;
24. verbale di conciliazione contenente dichiarazioni della CGIL di Ragusa;
25. mutuo a carico della ricorrente;
26. stato di famiglia;
27. prestito da agenzia finanziaria;
28. debito pagato dalla ricorrente di € 2.900,00;
29. prestito dell’11 maggio 2009 di € 25.000,00;
30. contratto di vendita della propria autovettura.
Catania 9 novembre 2010.
                                                                        Prof. Avv. Carmelo Romeo

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