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domenica 11 marzo 2012

La lettera censurata di Donatella Bruni

Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Donatella Bruni su 8 marzo e CGIL. Ricordiamo che la compagna Bruni è stata allontanata dalla CGIL e dal suo incarico per "colpa" della sua relazione (sì avete capito bene) con un sindacalista della UIL. 

 Donatella Bruni ci scrive:

Nei giorni in cui le rivoluzioni arabe stavano dominando il web, molti hanno messo in evidenza come senza questo strumento di democrazia sarebbe stato molto più difficile per quei giovani far sapere al resto del mondo ciò che stava succedendo nel loro Paese e quindi sconfiggere la “censura di stato”.
Proprio come è successo nel Nord Africa mi trovo oggi a dover pubblicare su internet quello che la censura di certi giornali asserviti si sono rifiutati di pubblicare.
La stampa calabrese alla vigilia dell’8 marzo ha concentrato gran parte della sua attenzione sulla donna vittima della ‘ndrangheta. E’ notorio che non è solo questo il problema per le donne meridionali e la sottoscritta, che è stata anch’essa “vittima” della condizione femminile in una organizzazione che, a parole, appare come la paladina delle vittime dell’ingiustizia, ritenendo di dover strappare il velo di ipocrisia che copre tutto e che travisa le cose facendole apparire per quello che non sono, aveva deciso di inviare una nota al direttore del quotidiano della calabria. Quel giornale aveva indirizzato il dibattito in quel senso con la campagna “Tre foto e una mimosa”, ma ho scelto quella testata anche perché aveva ospitato, giorni prima, una articolata riflessione di quella stessa organizzazione su cui io puntavo l’indice.
Ebbene quel giornale, per oltre due settimane, ha trovato modo di dare spazio a tutte le riflessioni e le dichiarazioni sul tema e sulla campagna in atto, per la verità tutte meritevoli di quello spazio, ma non ha ritenuto di dare voce alla mia riflessione forse perché andava ad irrompere con troppa irruenza nel mieloso clima che si era voluto creare o forse perché il Direttore del giornale nella giornata dell’8 marzo sarebbe stato ospite all’iniziativa di quella organizzazione, o forse perchè temeva di finire come il giornalista del TG1, querelato per aver osato informare.
Ritenendo invece che ai lettori debba sempre essere data la possibilità di avere una informazione completa, anche se alcune volte può fare male, propongo qui le riflessioni che quel giornale evidentemente ha ritenuto opportuno censurare, chiedendovi di pubblicarle.


Riflessioni sull’8 marzo 2012 censurate dalla stampa:
Per superare l’amarezza che ancora qualche volta mi coglie, avevo deciso di lasciarmi definitivamente alle spalle la triste vicenda che lo scorso anno mi ha vista coinvolta, mio malgrado, in una umiliante storia di ordinaria discriminazione, ma un moto di rabbia ed un irrefrenabile senso di disgusto mi hanno assalita leggendo dalle pagine del vostro quotidiano che la CGIL, la stessa che si è resa protagonista, nei miei confronti, di un atteggiamento da Santa Inquisizione di medievale memoria, riservandomi un sommario processo ed una ancora più sommaria condanna, la stessa che con quella vicenda ha scritto una pagina triste e amara nella cronaca delle conquiste femminili, oggi si erge a paladina delle donne vittime di discriminazione, si interroga sui percorsi a difesa dei loro diritti, ne denuncia la prevaricazione, dice di volerne salvaguardare l’uguaglianza e le pari opportunità, e di voler lottare per l’ emancipazione femminile.
Allora ho preso carta e penna decisa a gridare il mio basta a questa fiera dell’ipocrisia ed anche per dire ciò che per pudore finora avevo riferito solo sommariamente.
Le parole contenute nel programma della CGIL per la giornata della donna, oggi suonano più che mai vuote ed ipocrite alle mie orecchie. Orecchie ferite ed umiliate da espressioni mortificanti profferite da uomini di quell’organizzazione nei miei confronti: “la segretaria la dobbiamo cacciare perché è una p…” oppure “…gli iscritti alla categoria (tutti maschi naturalmente) si vergognano della segretaria perché sta con … e quindi non può più essere autonoma”
Orecchie ancor più umiliate dall’assordante silenzio delle tante donne dell’organizzazione che in quei giorni non hanno neppure avuto il coraggio di incrociare il mio sguardo, ben consapevoli del fatto che si stesse consumando l’ennesima ingiustizia e discriminazione maschilista verso una donna che avevano stimato ed ammirato fino al giorno prima. Soltanto una di loro ha avuto il coraggio di accennare una pseudo giustificazione che la dice lunga sul clima che si respira in quella democratica organizzazione, “… è la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare nella mia vita ma ti voterò contro perché ‘tizio’ mi ha detto che devo farlo“.
Molte sono rimaste in silenzio, hanno voltato lo sguardo altrove con quella colpevole indifferenza che Bertold Brecht ci ricorda nella sua memorabile poesia sulle persecuzioni  naziste del secolo scorso, “… un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Ma si sa,  se non stanno “prendendo” te è meglio non esporsi e seguire il gregge. Dov’erano le tante responsabili e le aderenti dei coordinamenti donna o per le pari opportunità di cui pullula quell’organizzazione? Si muovono forse su imput di qualche uomo o solo se la donna da tutelare è abbastanza sponsorizzata e protetta?
Ci sono state poi quelle donne che la mia “messa al rogo” l’hanno compiuta con lucidità perché ciò  avrebbe fatto guadagnare loro una adeguata ricompensa, premio ravvisabile in alcune rapide “promozioni” che sono seguite alla mia sfiducia.
Alcune, poche per la verità, mi sono state vicine e di grande conforto, per fortuna ci sono ovunque donne coraggiose ed  incorruttibili, queste però, come spesso avviene, non avevano ruolo o postazione strategica nella stanza dei bottoni e la loro vicinanza non ha avuto alcun effetto sul risultato finale, comunque, per il loro essersi schierate, hanno dovuto subire la scomunica generale e sicuramente non troveranno grandi agibilità in futuro.
E che dire dell’assoluta indifferenza della segretaria nazionale Vera Lamonica che dal Quotidiano viene indicata quale simbolo dell’impegno civile? Proprio colei che in questa avventura confederale mi aveva chiamata, chiedendomi di impegnarmi a ricostruire la CGIL vibonese e sulla mia perplessità a lasciare un lavoro a cui tenevo tantissimo ha fatto leva, per convincermi, sulla solidarietà femminile. Quando un po’ di solidarietà avrebbe dovuto mostrarla lei nei miei confronti, si è eclissata. Forse non riteneva utile spendersi per chi era così lontana dai suoi ormai alti orizzonti e poi “non intendeva più occuparsi delle squallide faccende calabresi”, anche se queste si stavano rovesciando su una persona che magari non le meritava. Ora ha deciso di scendere “quaggiù in Calabria”,  tra noi comuni mortali a rinfrancare, con la sua presenza, l’universo femminile?
Ma delle donne dell’organizzazione quella che più delle altre è stata per me fonte di delusione è lei, la segretaria generale, Susanna Camusso, prima donna alla guida di un sindacato italiano, qualcosa doveva significare! Beh, nonostante fosse stata messa dettagliatamente a conoscenza di ciò che si stava consumando in questa terra lontana, lei ha lasciato che una vicenda dal sapore fortemente discriminante verso una donna fosse interamente gestita da un uomo, componente della sua segreteria. Il Torquemada della situazione che, ad una precisa domanda, rivoltagli da un noto giornalista calabrese sulla mia “epurazione”, è riuscito solo a balbettare frasi fatte, in sindacal-burocratese, che hanno annichilito chiunque le abbia udite.
Che senso hanno certe considerazioni, contenute nella presentazione dell’iniziativa, di per sé condivisibili, se però le stesse donne che le esprimono consentono che logiche tutte maschili ricaccino in ruoli subalterni o minori la donna anche quando questa dimostra di essere capace di svolgere un incarico primario; logiche che la relegano da protagonista, con pari dignità di ruolo rispetto all’uomo, a spettatrice che fa da contorno al protagonismo maschile. Un po’ di coerenza sarebbe auspicabile! 
Mi chiedo e vi chiedo, queste sono le donne che dovrebbero difendere o tutelare la dignità di altre donne? Di grazia mi sapreste dire come? Con una commemorazione, con la celebrazione di una giornata, con tante belle parole spese in pubblico prima di tornare alla ordinaria e privata indifferenza o complicità maschilista?
Si sostiene che l’intenzione della loro iniziativa del prossimo 8 marzo sia quella di ricordare tre donne che hanno avuto il coraggio di ribellarsi, Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce, “vittime di un contesto in cui il rispetto delle regole non trova strada o cittadinanza”.
Ritengo che non si possano onorare solo a parole le battaglie delle donne, ma agendo nei fatti per far si che sempre meno persone debbano subire umiliazioni e ingiustizie solo perché donne.
Allora diventa assurdo, anzi una beffa, che una organizzazione porti agli onori, con tanto di consegna di attestato-premio, un uomo indagato per molestie sessuali, in barba allo statuto “democratico” di queste “democratiche” organizzazioni che evidentemente è intriso di ipocrisia e conformismo, utile solo a lavarsi le coscienze. Ebbene, così non si stanno onorando nè quelle né tante altre donne.
Né serve ricordare che in una società come la nostra “ognuna di noi è Maria Concetta, Lea o Giuseppina, se vive in un contesto in cui il rispetto delle regole non ha spazio o cittadinanza”, bisogna crederci davvero a questa affermazione ed essere pronte a reagire con la solidarietà, la vicinanza, la presa in carico, non voltando lo sguardo altrove o peggio pensando “se l’è cercata lei”. Io so cosa si prova quando ti additano, quando le regole che dovrebbero tutelarti “saltano”, quando sei sola e devi combattere contro chi ti punta l’indice perché non stai al gioco, perché non pieghi la schiena, perche hai l’arroganza di non voler accettare o subire un'ingiustizia. E’ una mentalità tutta meridionale, che non è solo prerogativa degli ambienti malavitosi, quella che mal sopporta chi tiene la schiena dritta, chi si ribella ai soprusi, e così chi denuncia e pretende giustizia diventa il nemico da combattere, l’appestato da tenere lontano, il male da espellere immediatamente prima che infetti con le sue “pretese di giustizia” l’ambiente sano e democratico delle tante teste chine.
Si può uccidere in molti modi una persona: fisicamente, la ‘ndrangheta, se ti ribelli, ti scioglie nell’acido; o psicologicamente, le organizzazioni cosiddette democratiche e progressiste ti creano il vuoto attorno, ti etichettano come non uniformata, come diversa e quindi sbagliata e così uccidono i tuoi ideali, le tue passioni, le cose in cui credevi.
In fondo è proprio vero che in Calabria “per una donna vivere la propria normalità” è molto difficile sia per il contesto criminale che per l’arretratezza culturale delle nostre realtà, ma il dramma è che tutto questo non potrà mai cambiare finché ci si limiterà a proclami ipocriti e di facciata.
Noi donne dovremmo imparare a restare meno indifferenti davanti ai soprusi quotidiani perpetrati verso altre donne, dovremmo portare nel nostro agire quotidiano, a tutti i livelli, la nostra differenza dell’essere donne e quindi conseguentemente non comportarci come gli uomini. Non dovremmo mai essere disponibili a sacrificare la dignità di un’altra donna (e possibilmente nemmeno quella di un altro uomo) per ottenere un tornaconto personale o una carriera più facile, questo modus operandi lasciamolo agli uomini, lo fanno da una vita e sono sicuramente più bravi di noi.
Poi, non dovremmo permettere mai che sia un uomo a condizionare le nostre scelte politiche, le quote di genere sono umilianti per noi donne solo se permettiamo ad un potere maschile di celarsi dietro quella quota.
Solo coloro che sono pronte a questa sfida e non avranno consentito che una donna, una qualsiasi donna, venga sacrificata da logiche maschiliste potranno ergersi a paladine della dignità femminile.
Le altre abbiano il pudore di tacere, anche in memoria delle tante donne coraggiose che nella nostra Calabria hanno combattuto ed ancora combattono contro un male assoluto come la ‘ndrangheta, pagando per questo un prezzo altissimo.
 Donatella Bruni

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